Innovazione sembra essere diventata una parola “sporca”, e forse è per questo che si è iniziato a chiamarla disruption. Oggi, si parla di disruption quando vi sono nuovi concorrenti digitali che si inseriscono aggressivamente in uno spazio di mercato a una velocità senza precedenti. Questi “disrupter” stanno rapidamente aumentando la loro presenza in numerosi settori: bancario, assicurazioni, manufacturing, mobile, comunicazione, sanità e molti altri. Non ci sono più rifugi sicuri in una società iperconnessa: un segno dei tempi è la segnalazione del Financial Times che quasi 100mila posti di lavoro bancari sono stati tagliati nel 2015 a seguito dell’aumento del tasso di digitalizzazione. In quello stesso anno, i venture capitalist hanno versato con gioia un sacco di soldi nelle startup promettenti del fintech, con 13,8 miliardi di dollari investiti solo nel business della tecnologia finanziaria. Per affrontare la digital disruption, le aziende devono subire una trasformazione radicale, ed è per questo che ingaggiano costosi consulenti di innovazione, istituiscono sandbox, ordinano tavoli da ping-pong in quantità, partecipano a hackathon e abbattono le pareti degli uffici. E, come si può immaginare, la trasformazione va anche di pari passo con un rimescolamento delle carte nei board. Il chief information officer deve adesso condividere il proprio territorio con gli head of innovation, i disruption manager oppure con i chief digital officer. Ma bisogna essere onesti: cambiare le strutture o le linee di riporto, oppure ancora il layout degli uffici non aiuterà certo a vincere la guerra. Se si vuole prendere di petto la “disruption”, bisogna andare oltre il semplice “window dressing” ed essere pronti a rivedere il DNA aziendale. In un mondo dove il digital è la cosa migliore dopo il pane tostato, è meglio svegliarsi, sentire l’odore di caffè e iniziare con una prima colazione.
Come riconoscere un digital leader? - Con l’innovazione che si sta evolvendo a una velocità inesorabile, non sorprenderà sentir dire che la maggior parte delle organizzazioni diventeranno aziende di tecnologia, se vogliono rimanere in attività. La chiave della sopravvivenza consiste nella costruzione di API, nella sperimentazione di nuovi modelli di business, nell’investire in mobile e nel trasformare i dati in un vantaggio competitivo. Ma alla fine, la digital transformation riguarda anche le persone, e saranno necessarie le persone giuste in grado di orientare l’organizzazione e aiutare il board a navigare nel mare della disruption. Nelle mie conversazioni con i top manager e con il board, mi viene spesso rivolta una domanda: «Ma allora, chi dovrebbe guidare la trasformazione digitale»? Piccolo spoiler alert: non è un Master in Business Administration o anni di esperienza in un reparto tecnologia che vi farà ottenere l’incarico. Invece, consiglio spesso di cercare il DNA giusto, con competenze e capacità imprenditoriali che combinino il fare e il pensare. Illustro questo utilizzando il “DNA dell’Innovatore”, un concetto coniato nel 2009 dalla Harvard Business Review, che si incentra su cinque caratteristiche che distinguono il vero “imprenditore dell’innovazione”, cioè i veri digital leader, da quelli dilettanti: associare, domandare, osservare, sperimentare e fare networking.
Associare - Associare è la capacità di collegare i punti non connessi: è il processo creativo in cui le idee, i problemi e le domande portano a un momento “ah, ecco!”. La forza di associazione ci ha portato orchestratori di rete come Amazon, Uber, Alibaba e Airbnb. Questi player hanno compreso che non c’è bisogno di possedere gli asset per diventare grandi, mentre tutto ciò che serve è orchestrare un mercato digitale in cui acquirenti e venditori possono connettersi direttamente, e così è fatta. I digital leader provengono idealmente dall’esterno del proprio settore, per come osano mettere in discussione lo status quo e adottare un nuovo approccio a tutte le cose consolidate: non hanno bisogno di pensare fuori dagli schemi perché non sono mai stati dentro lo schema.
Domandare - Nostro figlio di tre anni ci fa impazzire con domande tipo “cos’è questo?” e “perché?”. Domandare è ciò che distingue i veri innovatori, perché guardano oltre il vantaggio tecnologico e mettono in discussione ciò che è ovvio. Come mai questi mercati digitali ci superano in termini di esperienza dei clienti, velocità, agilità, servizio e prezzo? Capire quali problemi stanno risolvendo per i clienti è più importante che capire come li risolvono. Miliardi di fondi se ne sono andati nell’economia on-demand, perché i clienti esigono una gratificazione immediata con la semplice pressione di un tasto sul proprio smartphone: i prestiti peer-to-peer risolvono il problema dei lunghi procedimenti per avere un finanziamento, il servizio taxi on-demand elimina la necessità (e irritazione) di fare la coda per un taxi e le startup di consegna a domicilio offrono molte comodità.
Osservare - Un’altra caratteristica di un digital leader è che stanno costantemente all’erta nell’osservare i settori in rapida evoluzione: cosa sta succedendo nel mio comparto? Come sta cambiando il comportamento dei clienti? E chi sono i miei nuovi concorrenti? Aziende come CBinsights oppure Owler sono scelte primarie per le ricerche di mercato e l’analisi della concorrenza: vi diranno ciò che sta accadendo nell’ambito IoT, quale società è destinata a essere il prossimo unicorno “insurtech”, chi finanzia le startup hardware e dove i bene informati investono in eHealth.
Sperimentare - Sperimentare non è ciò che accade nel vostro costoso laboratorio di innovazione, ma proprio ciò che accade al di fuori del laboratorio. L’idea alla base della sperimentazione è quella di consegnare rapidamente le vostre idee o i nuovi prodotti digitali e ottenere rapidamente un feedback dai clienti. La sperimentazione può avvenire solo in una cultura in cui il fallimento è un’opzione: fare errori è una parte essenziale del percorso di apprendimento e richiede sia un appetito per il rischio sia la volontà di riuscire. La sperimentazione attiva non significa che si punta una sola volta su un prodotto minimamente fattibile, ma significa che si punta a una trasformazione minima fattibile in cui si sperimentano nuove tecnologie emergenti, introducendo metodologie di project management agili e squadre che si guidano da sole.
Fare networking - Il digital leader esce allo scoperto e fa un sacco di networking focalizzato sulla generazione di idee. Il che spiega il motivo per cui non va mai al summit annuale del settore, dove troverebbe le stesse persone di sempre e gli stessi modi di pensare di sempre, ma va ai pitch delle startup, alle fiere tecnologiche e ai summit su Internet. Lo scopo di questo tipo di networking è principalmente quello di collaborare con brillanti startup ed espandere l’ecosistema di business, tenendo sempre a mente il vecchio adagio: tieni gli amici vicini e gli avversari digitali ancora più vicino. Questo è ciò che i venture capitalist fanno sempre, per cui non c’è da preoccuparsi: non sarà l’unico over 40 del meeting.
Prendere l’iniziativa - Ora che sappiamo cosa cercare, ci chiederemo: cosa c’è dietro l’angolo? La buona notizia è che le competenze sopra descritte non sono legate a un corredo genetico: tutti possono imparare, praticare e padroneggiare. Insieme a Technology Transfer, abbiamo sviluppato un nuovo seminario in cui i manager del business e dell’IT possono imparare a padroneggiare i principi fondamentali della trasformazione digitale, con un programma progettato per andare oltre l’hype della digital disruption e fornire una guida pratica su come avviare la tanto necessaria trasformazione.
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