Con Internet of Things (IoT), sia industriale sia consumer, ci si sta spostando verso un mondo in cui non sarà raro vedere milioni di fonti di dati che generano dati da raccogliere, elaborare e analizzare. In effetti, sta già accadendo in alcuni settori come il manufacturing e l’oil and gas. Quando trenta anni fa nacque il data warehousing, con la pubblicazione del noto paper di Devlin e Murphy di IBM (“An architecture for a business and information system”, Devlin and Murphy, IBM Systems Journal Vol 27, N. 1, 1988), nessuno immaginava uno scenario di centinaia di fonti di dati, per non parlare di migliaia, centinaia di migliaia o milioni. Pertanto, furono creati strumenti di estrazione, trasformazione e caricamento (ETL, exact, transform and load) per accelerare lo sviluppo di processi di pulizia, trasformazione e integrazione dei dati senza che servisse scrivere codice per elaborare i dati. Tuttavia, molti altri compiti erano ancora in larga misura manuali. Gli strumenti ETL hanno avuto molto successo nel migliorare la produttività, funzionando bene per numerose fonti di dati, ma oggi esistono differenze in termini di varietà, volume e velocità dei dati, e c’è anche stata un'esplosione nel numero di fonti di dati. Non solo: molte di queste fonti di dati provengono dall'esterno dell'azienda. Inoltre, sono ora necessari diversi tipi di carichi di lavoro analitici per produrre insight necessari, e sono emersi nuovi data store, oltre ai RDBMS analitici del data warehouse, ottimizzati per diversi tipi di analisi. Questi comprendono il cloud storage, i DBMS grafici NoSQL per l'analisi dei grafi, Hadoop e le piattaforme analytics e di streaming dati. Oggi, nelle aziende vi è un ampio spettro di attività analitiche che vanno oltre le query e il reporting nei data warehouse: vi sono il machine learning supervisionato (per esempio, per costruire modelli predittivi), quello senza supervisione (per i dati del cluster), il deep learning, l'elaborazione del linguaggio naturale, l'analisi dei grafi e lo streaming analytics. E molti di questi vengono ora eseguiti su larga scala su tecnologie come Apache Spark.
Modello relazionale a fine corsa? - Si tratta sicuramente di un progresso, ma non mancano gli effetti collaterali, tra i quali vi è la complessità in termini di gestione dei dati. Ci sono numerosi data store, sono emerse migliaia di origini dati, i file intermedi sono ovunque e i dati si spostano in tutte le direzioni, dal cloud all’on premises e dall’on premises al cloud, dal NoSQL DBMS a Hadoop, da Hadoop a RDBMS e ritorno. Una cosa è certa: l'IT non sta tenendo il passo con le richieste del business. C’è bisogno di un cambio di passo nella produttività del software di gestione dei dati, che consenta di affrontare la complessità, aprendo al contempo la possibilità di coinvolgere analisti e data scientist in modo che l'IT e le imprese lavorino in modo collaborativo sugli stessi progetti per produrre dati attendibili per l'analisi. Le attività devono essere automatizzate per integrare velocemente nuovi dati e consentire l'elaborazione rapida. Inoltre, i risultati intermedi devono essere condivisi in modo che tutti sappiano cosa è stato o non è ancora stato prodotto. Per far questo, è necessario un software di gestione dei dati che sia smart, e che sia dotato di interfacce utente per l'IT e per il business, ma soprattutto che fornisca analisi integrate per automatizzare il rilevamento dei dati e la loro profilazione, la codifica semantica, la classificazione della governance dei dati, la catalogazione dei dati e persino la mappatura dei dati.
Data lake logici - Serve un riconoscimento automatico di dati comuni come il codice fiscale, i codici postali, i nomi, gli indirizzi, le date, gli orari e così via. Serve anche la correzione automatica dei dati e un software che abbia capacità di self learning, in modo da migliorare l'automazione e la produttività. Per eliminare il backlog, bisogna consentire alle persone del business che utilizzano la preparazione self-service dei dati e ai professionisti IT che utilizzano strumenti ETL di condividere le specifiche dei metadati e i set di dati intermedi in un ambiente di sviluppo collaborativo, il tutto integrato con un catalogo di informazioni. Perché ciò accada, bisogna che un catalogo di informazioni diventi centrale per tutto, in modo che tutti sappiano quali dati vi sono e dove sono. Nei cataloghi di informazioni, la discovery automatica esamina ogni singolo dato nel tentativo di individuare automaticamente i dati e il loro significato. I modelli predefiniti, quelli definiti dall'utente e gli analytics consentono di identificare automaticamente quali sono i dati, come denominarli, come classificarli a fini di governance e se si riferiscono ad altri dati già catalogati. Questo approccio di intelligenza artificiale è rapido e ideale per aiutare a creare e gestire i cosiddetti "data lake logici” che consistono in più data store, sia on premises sia nel cloud, nei quali i dati provengono spesso da fonti di dati il cui numero aumenta rapidamente, e potrebbero non essere ben compresi. La discovery automatica consente inoltre di scoprire i dati semi-strutturati, e potenzialmente può anche derivare automaticamente dati strutturati da dati non strutturati durante il processo di scoperta, per esempio tramite l'elaborazione del linguaggio naturale. Senza questo, non c'è modo di tenere il passo con la domanda. Questo approccio significa anche che la mappatura di dati disparati in vocabolari di business comuni può anche essere automatizzata, in modo che le aziende possano basarsi sul proprio investimento in un glossario di business oppure iniziarne uno.
Policy per una governance complessa - Per affrontare la governance dei dati in un panorama dati così complesso, è necessario definire le politiche e le regole una volta per tutte e applicarle ovunque in tutti i data store in cui compaiono gli stessi dati. Quello che serve è identificare quali dati vi sono e dove sono, classificare i dati (per esempio i dati personali identificabili), quindi taggarli in modo da sapere come governarli. Il passo successivo è collegare le regole alle policy e le policy ai tag. Pertanto, se i dati sono presenti in più data store, possono essere riconosciuti automaticamente, con ogni istanza dotata dello stesso tag semantico. Inoltre, ogni istanza di dati verrebbe probabilmente classificata allo stesso modo con un tag di governance per sapere come governarlo. Pertanto, la stessa policy si applicherebbe indipendentemente da dove si trovano i dati tra diversi data store sia on premises sia nel cloud. Il catalogo dovrebbe quindi sapere dove sono i dati, essere in grado di classificarli automaticamente, utilizzando l'intelligenza artificiale o consentire la classificazione manuale dei dati. Fornirebbe quindi le politiche e le regole per governarli in modo coerente su tutti i data store eterogenei. L'unico altro requisito è quello di disporre di motori di applicazione diversi in ciascuno di questi ambienti per applicare la stessa politica in più data store o per poter passare la policy e le regole su diverse tecnologie sottostanti, tramite l’interscambio di metadati. La buona notizia è che oggi tutto questo sta iniziando a essere implementato dai vendor che si occupano di gestione dati. La tendenza va sempre più verso software di gestione dati con intelligenza artificiale. Se la abbracciamo e la mettiamo all'opera in un panorama dati sempre più complesso, abbiamo buone possibilità di abbattere i muri tra IT e business, rimanendo agili e riducendo ancora il time-to-value.
Mike Ferguson sarà il chairman del “Data & Analytics Summit 2018” di Technology Transfer il 21-22 giugno a Roma. Inoltre, presenterà il seminario “Enterprise Data Governance & Master Data Management” il 19-20 giugno.
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